All’Altea infatti è legata la leggenda di Meleagro, figlio di Altea e di Eneo, signore di Calidone.
Meleagro uccise un cinghiale mandato da Artemide, offesa perché Eneo non aveva compiuto sacrifici in suo nome.
La pelle del cinghiale suscitò un’aspra contesa fra le due popolazioni confinanti degli Etoli e dei Cureti.
Durante la lotta Meleagro si schierò con i primi e per mano sua morirono i fratelli di Altea.
Fin dalla nascita del figlio la donna aveva custodito un tizzone ardente che, secondo l’avvertimento delle Moire, era legato alla vita di Meleagro.
Alla morte dei suoi fratelli, in un momento di rabbia, Altea gettò il tizzone nel fuoco, provocando così la morte del figlio.
Pentitasi subito, la donna pianse disperata e dalle sue lacrime nacque la pianta che porta il suo nome.
L’Althea officinalis è una pianta erbacea caratterizzata da una radice carnosa, da foglie morbide e vellutate al tatto grazie alla loro peluria, da fiori simili a quelli della Malva ma più piccoli.
L’intera pianta, in particolare la radice, è ricca di mucillagini ed è proprio a loro, ma non solo, che deve le sue proprietà.
L’uso dell’Altea si perde nella notte dei tempi.
Ippocrate consigliava il decotto della sua radice come rimedio per le ferite, mentre Dioscoride per trattare anuria, diarrea, litiasi, lesioni interne, dolore ai nervi, punture d’ape, mal di denti. Paracelso la prescriveva negli ascessi per le sue spiccate proprietà espettoranti e diuretiche, in lesioni interne come ulcere ed esterne come ustioni. Il suo uso viene ritrovato anche nella medicina greca.
Da qui si estese a quella araba (dove i medici arabi la utilizzavano principalmente per la preparazione di un impiastro ad azione antinfiammatoria), poi la si ritrova anche nella medicina ayurvedica come rimedio contro la tosse, bronchite, rinorrea e disturbi della gola.
Uno dei dolci tradizionali francesi è il marshmellow, che è uno dei nomi con cui viene chiamata l’Altea.
I farmacisti francesi preparavano una meringa con estratto di Altea, albume d’uovo e zucchero, usata per trattare le “lamentele del petto”.
La produzione diventò presto industriale e sotto forma di gustosa caramella e non contenne più l’estratto di Altea.
Gli usi odierni dell’Altea mettono in evidenza la simmetria e il legame tra le varie tradizioni.
Infatti viene utilizzata nel trattamento dell’irritazione della bocca e della gola, nel caso di tosse secca e grassa, nell’infiammazione della mucosa gastrica e nel trattamento del reflusso gastroesofageo, nelle irritazioni gastrointestinali.
Le sue azioni lenitiva ed emolliente si affiancano a quella antimicrobica, che viene sfruttata soprattutto in preparati sciropposi a beneficio dell’apparato respiratorio e contro la tosse.
I polisaccaridi che contiene l’Altea infatti formano un rivestimento protettivo sulla mucosa orale e faringea, lenendo l’irritazione e l’infiammazione locale e avendo così anche azione sedativa sulla tosse stessa (riducendo l’intensità e la frequenza) e proteggendo le mucose dai microbi.
I suoi vari utilizzi sono in gran parte supportati da studi clinici e si avvalgono quasi sempre dei suoi decotti (quando si tratta della radice) o di tisane (se si utilizzano le foglie e i fiori).
L’Altea viene molto utilizzata anche in preparati per uso esterno, per esempio contro la dermatite seborroica.
Dopo pochi mesi di trattamento si può notare una remissione del problema: cancellazione della squamosità sul cuoio capelluto, del prurito, dell’eritema, della forfora, dell’arrossamento e dell’infiammazione. I suoi costituenti attivi (mucillagini, acido salicilico, fitosteroli, tannini, …) promuovono infatti il processo di guarigione delle ferite, aumentando la vitalità e la forza della fibra di collagene, migliorando la circolazione e prevenendo il danno cellulare.
Con il recupero della forza dei tessuti lesi, la riepitelizzazione della pelle avviene di conseguenza.
Il suo uso esterno si estende anche in prodotti dopo sole o comunque lenitivi per la pelle irritata.